Iconografia

Oggi esistono tanti siti internet, tanti libri e mostre per cercare di capire il mondo dell'icona.

Molti reputano l'icona solo arte, solo una moda, solo un commercio o un qualcosa di esotico se non addirittura una forma archeologica di pietà cristiana...

Per conoscere le tecniche di pittura,la storia, la teologia vi è ormai tanto materiale su internet e Vi invito quindi alla ricerca suggerendoVi alcuni LINK ICONOGRAFICI

Solo alcuni pensieri

"L'icona non è un ritratto ma un prototipo della futura umanità trasfigurata... Nelle icone l'immobilità caratterizza soltanto le raffigurazioni dove non solo la carne ma la stessa natura umana è ridotta al silenzio, dove essa vive ormai non di vita propria ma di vita sovrumana. Oggi più che in qualsiasi altro tempo siamo in grado di comprendere l'emozionale dramma esistenziale dell'icone. Finalmente siamo riusciti a cogliere come l'icona sia profondamente sofferta, come l'icona abbia registrato per secoli il tormento dell'anima popolare, quante siano state le lacrime sparse davanti ad essa a quanta autorità possieda la sua risposta a quelle lacrime"

(Evgenij Trubeckoj)

L'icona senese di Notre Dame de Grâce di Cambrai (Francia)

C'è un curioso legame tra questa icona e Santa Bernadette Soubirous. Si chiedeva spesso alla veggente di Lourdes se era bella la Signora che le era apparsa nella grotta. "Se era bella! - esclamava - Era talmente bella che, quando si è veduta una volta, non si può fare a meno di desiderare di morire pur di rivederla!".Monsignor Delanoy, Vescovo di Dax, disse nel luglio 1905: "Bernadette non volle mai riconoscere la fisionomia di Maria nell'aspetto che gli artisti diedero alle statue di Nostra Signora di Lourdes. Un giorno un religioso che possedeva un album di Madonne tra le più conosciute lo mostrò a Bernadette.

Ella sfogliò l'album e si fermò, emozionata, davanti ad un'immagine bizantina dai tratti regolari. "Ecco - disse - è lei". Era questa icona senese del XII secolo.

(da G. Gharib, Le Icone mariane, Città Nuova, Roma 1987)

Sito della Cattedrale di Cambrai: http://cathedrale.cathocambrai.com/rubrique-4891-icone.html

«Diciamo l’essenziale: il rito della sua consacrazione [dell’icona, n.d.r.] le conferisce un carattere miracoloso: “Canale della grazia dalla virtù santificatrice”, è il luogo delle “fanìe” o manifestazioni. Il settimo concilio lo dichiara esplicitamente: “Sia attraverso la contemplazione della Scrittura, sia attraverso la rappresentazione dell’icona... noi ci ricordiamo di tutti i prototipi e siamo introdotti presso di loro”. E il concilio dell’860: “Ciò che il libro ci dice con la parola, l’icona ce lo annuncia con il colore e ce lo rende presente”. “Quando i miei pensieri mi tormentano e mi impediscono di gustare la lettura – dice S. Giovanni Damasceno – io mi reco in chiesa... La mia vista è fascinata e porta la mia anima a lodare Dio. Io considero il coraggio del martire... il suo ardore m’infiamma... cado a terra per adorare e pregare Dio per intercessione del martire”. Perché questi è presente nella sua funzione d’intercessione e di comunione.

Certo, l’icona non ha realtà propria in se stessa, non è che una tavola di legno; ma proprio perché trae tutto il suo valore teofanico dalla sua partecipazione al “tutto Altro”, non può rinchiudere niente in se stessa, ma diviene un punto schematico d’irraggiamento della presenza. L’assenza di volume esclude ogni materializzazione; l’icona suscita una presenza energetica che non è localizzata né rinchiusa, ma irradia tutt’intorno al suo punto di condensazione.

È questa una teologia liturgica della presenza che distingue nettamente l’icona da un quadro a soggetto religioso. Ogni opera puramente artistica si situa in un triangolo chiuso: l’artista, la sua opera, gli spettatori: l’insieme si trova chiuso in un immanentismo estetico. L’arte si situa tra i beni emotivi che agiscono attraverso la sensibilità. Ora l’arte sacra giustamente, si oppone a tutto ciò che è soave ed emolliente, ad ogni accordo delle anime romantiche, per una certa aridità ieratica e per lo spogliamento ascetico della sua fattura.

L’icona, col suo carattere sacramentale, rompe il triangolo e il suo immanentismo. Essa si afferma indipendente e dall’artista e dallo spettatore, e suscita non l’emozione ma l’avvenimento di un quarto elemento in rapporto al triangolo: l’avvenimento del trascendente, di cui attesta la presenza. L’artista scompare dietro la tradizione che parla, l’opera d’arte diviene il luogo teofanico davanti al quale non è più possibile restare semplice spettatore: l’uomo si prostra nell’atto di adorazione e di preghiera.

Per contro in Occidente, in riferimento alle immagini, il Concilio di Trento accentua il ricordo, ma nettamente non epifanico, ponendosi così fuori della prospettiva sacramentale della presenza. Essa ha affermato tutti i dogmi cattolici, ma di fronte alla Riforma sostanzialmente iconoclasta, ha respinto il dogma iconografico, del resto già dall’Occidente dopo il VII Concilio. Ora è sintomatico, per l’approccio iconografico del Mistero, che Santa Bernardette, invitata a scegliere in un album l’immagine che più somigliava alla sua visione, si sia fermata senza esitare davanti a un’icona bizantina della Vergine, dipinta nel secolo XI…»

(Da “La teologia della Bellezza” di Paul Evdokimov,

Ed. Paoline, Roma 1971, p. 211 e ss.)

“La venerazione delle icone nella Chiesa è come una lucerna accesa, la cui luce non si spegnerà mai. È stata accesa non da mano umana, e da allora la sua luce non si è mai esaurita. Ha bruciato e brucia e non si arresterà di bruciare, ma la sua fiamma non è immobile; ora brilla di luce regolare, ora è quasi invisibile, ora si riaccende e si trasforma in una luce abbagliante. E anche se tutto ciò che è contrario all’icona cerca di spegnere la sua luce, ricoprendola di un velo di tenebre, questa luce non si spegne e non può spegnersi. E quanto per diminuzione di pietà si inaridiscono le forze per la produzione delle icone, ed esse quasi perdono la gloria della loro dignità, anche allora non si spegne la luce, ma continua a vivere, pronta ad apparire in tutta la sua forza e a diffondersi con lo splendore della Trasfigurazione del Tabor”.

(Grigorij Krug)

“Pavel N. Evdokimov ha chiarito con grande efficacia il percorso interiore presupposto dall’icona: non è semplicemente l’espressione di qualcosa percepibile dai sensi, ma piuttosto, com’egli afferma, un ‘digiuno della vista’. La percezione interiore deve liberarsi dalla pura impressione sensibile, per acquisire nella preghiera e nell’ascesi una nuova e più profonda capacità di vedere. Occorre compiere il passaggio dal puro esteriore verso la realtà profonda, là dove l’artista coglie ciò che si nega al senso in quanto tale, e tuttavia si mostra nel sensibile: lo splendore della gloria di Dio, la ‘gloria di Dio sul volto di Cristo’ (2Cor 4,6). La contemplazione delle icone, e in genere dei capolavori dell’arte cristiana, c’introduce in un percorso interiore, che è la via del superamento, e in questa purificazione dello sguardo, che è purificazione del cuore, ci disvela la bellezza, o almeno qualche suo raggio. E la bellezza ci mette in relazione con la forza della verità. Io ho espresso sovente la mia convinzione che la vera apologia del cristianesimo, ovvero la prova più persuasiva della sua verità, contro ogni negazione, sono da un lato i santi, dall’altro la bellezza che la fede è capace di generare. Affinché oggi la fede possa crescere dobbiamo facilitare a noi stessi e alle persone in cui c’imbattiamo l’incontri con i santi, il contatto con il bello”.

(Card. Joseph Ratzinger)

«La madre – ha osservato il Pontefi­ce – ha un rapporto tutto speciale, uni­co e in qualche modo esclusivo con il figlio appena nato. Il primo volto che il bambino vede è quello della madre, e questo sguardo è decisivo per il suo rap­porto con la vita, con se stesso, con gli altri, con Dio; è decisivo anche perché egli possa diventare un 'figlio della pa­ce' ». Allo stesso tempo, «il Bambino guarda la Madre, e questa guarda noi, quasi a riflettere verso chi osserva, e prega, la tenerezza di Dio, discesa in Lei dal Cie­lo e incarnata in quel Figlio di uomo che porta in braccio». Ed è proprio in questa immagine, ha spiegato richia­mandosi all’iconografia bizantina, che si lega il mistero del volto di Dio e de­gli uomini alla pace. Per questo, allora, «chi ha il cuore vuoto non percepisce che immagini piatte, prive di spessore. Più, invece, noi siamo abitati da Dio, e più siamo anche sensibili alla sua pre­senza in ciò che ci circonda: in tutte le creature, e specialmente negli altri uo­mini, benché a volte proprio il volto u­mano, segnato dalla durezza della vita e dal male, possa risultare difficile da apprezzare e da accogliere come epi­fania di Dio».