c. dal sito di Acqua & Sapone

dal mensile "Acqua & Sapone" di giugno 2009

Sporchi immigrati!

Sembra una dura descrizione degli extracomunitari di oggi, invece la relazione del Congresso Usa del 1912 si riferiva a noi italiani

Mar 23 Giu 2009 | di Paola Simonetti |

"Non amano l'acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina.

Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l'elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici, ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro (...)”.

Questa l’immagine di noi italiani, relazionata dall’Ispettorato per l'Immigrazione del Congresso americano negli Stati Uniti, nell’ottobre del 1912. Questa la vera immagine di quel sogno gettato oltre la frontiera, a scavalcare la miseria d’un balzo, che molti nostri antenati fecero per lasciarsi alle spalle la quotidiana “guerra del pane”, fuggendo da campagne infruttuose e politiche inique. Vagheggiando di strade lastricate d’oro, solleticati anche dalle operazioni di “reclutamento” di quelli che lucravano sul trasporto di esseri umani. Senza sapere che, quelle strade, sarebbero stati loro a doverle costruire fra sudore e sangue. Loro, gli emigranti italiani, che per un secolo hanno affollato le sudice stive di carrette del mare respirando carbone, morendo come mosche prima di mettere piede in suolo straniero stroncati da morbillo e varicella o da tragici naufragi. Loro, cioè noi, che dal 1876 al 1976 abbiamo rappresentato il più grande esodo di massa dell’epoca moderna, verso Stati Uniti, Argentina, Brasile, Australia, Europa: coloro che varcarono il confine in 100 anni sono stati circa 25 milioni e 800mila. Una ricca pagina di storia per lo più dolorosa, su cui per orgoglio e comodità è scesa la nebbia del mito dell’italiano per bene, lavoratore e vincente, “che oltremare ci andava solo per lavorare”. Della dura, spesso feroce realtà che accoglieva i nostri nonni e bisnonni in terra straniera, e delle nefandezze a cui erano soggetti quelli che alla miseria rispondevano con l’illegalità, poco è rimasto di documentato, perché la maggior parte di coloro che partivano erano analfabeti. Ma i documenti ufficiali dei governi di allora sono in grado di tracciare con brutale chiarezza il grado di xenofobia che accoglieva i migranti nostrani. Veneti e i lombardi erano definiti dall’Ispettorato dell’immigrazione statunitense, sempre nei primi decenni del ‘900, “tardi di comprendonio e ignoranti, ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano, purché le famiglie rimangano unite e non contestino il salario”. Oltreoceano come in Europa, si guadagnarono i più fantasiosi quanto mortificanti epiteti: “non bianchi”, “colorati”, “mezzi colorati”, “pelle oliva”, “azzanna spaghetti”. Una generalizzata storia di razzismo, che ha perseguitato gli italiani fin negli anni ’70, ovunque cercassero riscatto lavorando, per paghe da fame, in cantieri infernali come miniere e ferrovie, dove spesso lasciavano la pelle a centinaia. Diceva un titolo del "Corriere della Sera" del 1971: "Per un italiano che approda in Svizzera è un reato anche portare troppe valigie". Non a caso, la barzelletta preferita dai razzisti seguaci di James Schwarzenbach era: «Sai cos'è un "sandwich Schwarzenbach"? Un italiano spedito via schiacciato tra due valigie». In molti Paesi del nord Europa, Svizzera e Germania soprattutto, grossi cartelli vietavano l’ingresso agli italiani nei locali, come pure nelle sale d’aspetto pubbliche. L’immagine del criminale, sporco e rozzo, era così diffusa nell’immaginario sugli italiani, da diventare argomento di divulgazione mediatica. Il 1 gennaio del 1894 il New York Times scriveva: "Abbiamo all'incirca in questa città trentamila italiani, quasi tutti provenienti dalle vecchie province napoletane, dove, fino a poco tempo fa, il brigantaggio era l'industria nazionale. Non è strano che questi briganti portino con sé un attaccamento per le loro attività originarie". All’inizio del ‘900, a New Orleans, Stati Uniti, la didascalia di un’illustrazione di un giornale dell’epoca, recitava: "Attraversate il quartiere italiano di una qualsiasi grande città e non mancherete di trovarvi in mezzo alla Camorra e alla Mafia". Un’immagine questa, sfruttata ampiamente nella copiosa produzione cinematografica hollywoodiana e che probabilmente stenta a sfumare tutt’oggi negli Usa: l'Italic Studies Institute di New York, nel 2000, ha scandagliato ben 1057 pellicole girate nella mecca del cinema a partire dal 1928, cioè dall'avvento del sonoro, in cui vi fosse un personaggio italiano. Ne risultò che i film che davano di noi un'immagine positiva erano 287 (27%), negativa 770 (73%). Più in dettaglio, ricorda Ben Lawton nel suo saggio pubblicato nella raccolta “Scene italo-americane” curata da Anna Camaiti Hostert, gli italiani criminali erano 422 (40%) contro 348 (33%) rozzi, bigotti, stupidi o buffoni. Non furono in grado di sganciarsi dalla trappola dello stereotipo neppure i grandi della letteratura, che paradossalmente rappresentarono forti casse di risonanza del pregiudizio, tanto da creare un terreno di intolleranza nei paesi dove i nostri migranti cercarono fortuna. Il poeta inglese Percy B. Shelley fu uno dei più ferventi autori di sprezzanti giudizi su uomini e donne d’Italia, che rispettivamente definiva “tribù di schiavi stupidi e vizzi, e non penso di aver visto un solo barlume di intelligenza nel loro volto, da quando ho attraversato le Alpi” e “le più spregevoli fra tutte quelle che si trovano sotto la luna; le più ignoranti, le più disgustose, le più bigotte, le più sporche”. Nei suoi racconti del Gran Tour, il nostro paese veniva descritto pieno di “mendicanti, puttane, ruffiani, sozzoni e briganti”. Non eravamo migliori dunque, né meglio considerati di quanto siano i migranti che giungono sulle nostre coste oggi. Non tutti gli italiani emigrati hanno fatto fortuna arricchendosi, come vuole il mito. In molti hanno ‘vissuto’ in una miniera, lasciandoci la vita con i polmoni pieni di polvere. Ma determinazione, intraprendenza e, forse, il cammino della civiltà hanno fatto sì che altrettanti abbiano potuto ritagliarsi una vita dignitosa, fatta di rispetto e benevolenza, portando alto un nome italiano prima bersagliato. Oggi i figli di quella dolorosa emigrazione affollano mezzo mondo. Terze e quarte generazioni si configurano come comunità poderose (quella italo-americana conta 15 milioni e 700 mila persone, pari al 6 per cento della popolazione totale), nella stragrande maggioranza di casi ben integrate e inserite in contesti di prestigio. Cittadini che rappresentano la maglia solida di società, che a loro devono il sostegno di governi ed economie. Un altro Stivale, trapiantato all’estero, che conta 58 milioni di eredi dei nostri migranti (l’Italia ha una popolazione di 57 milioni di persone), di cui 5 milioni con passaporto nostrano.

Bambini venduti

La profonda miseria, a cui erano condannati molti immigrati italiani all’estero, generava spesso fenomeni drammatici, come quello della vendita dei figli. Una realtà che Ernesto Nathan, un politico italiano, ebreo di origine inglese, sindaco di Roma dal novembre 1907 al dicembre 1913, denunciava indignato allo Stato: «Non sono centinaia, ma migliaia, diecine di migliaia i casi in cui il potere giudiziario dovrebbe intervenire, interdire a degli indegni l'esercizio della patria potestà, assumere o delegare la tutela dei minorenni vilmente sfruttati o corrotti – dichiarava -. Ai padri che vendono i figli agli spazzacamini od alle vetrerie francesi, od ai suonatori di organetto in America, alle madri che trafficano la verginità delle loro figlie per giocarne il ricavo al lotto, ha pensato mai a precludere la via il potere giudiziario, valendosi dei poteri conferiti dal Codice civile e penale? Non sanno di questi casi, quasi ad ogni cantonata, gli agenti di pubblica sicurezza, gli stessi giudici?».

In memoria della strage all’Italian Hall nel Michingan

Era la notte di Natale del 1913: gli operai delle miniere, in sciopero da mesi, avevano fatto una grande festa nella sede della Societa Mutua Beneficenza Italiana. Improvvisamente uno degli scagnozzi mandati dai proprietari delle miniere mise dentro la testa e urlò: “Al fuoco! Al fuoco!”. Nella sala si scatenò il panico. Ma la gente in fuga trovò le porte sbarrate dall'esterno dagli organizzatori dello scherzo criminale. Calpestate nella ressa, morirono 73 persone, tra cui moltissimi bambini.

E io aggiungo questa scritta di un GRAFFITO MUNICH:

"Il tuo Cristo è ebreo

e la tua democrazia è greca.

La tua scrittura è latina

e i tuoi numeri sono arabi.

La tua auto è giapponese

e il tuo caffè brasiliano.

Il tuo orologio è svizzero

e il tuo walkman è coreano.

La tua pizza è italiana

e la tua camicia è hawaiana.

Le tue vacanze sono turche,

tunisine o marocchine.

Cittadino del mondo,

non rimproverare il tuo vicino

di essere... straniero.